1)
Introduzione
di Bruno Bignami
Non intendo fare una introduzione, ma una provocazione, nel senso letterale della parola: lasciarci «pro-vocare», chiamare a raccolta in favore del tema attraverso l’ascolto di un prete operaio che ha scritto moltissimo della sua esperienza: don Luisito Bianchi, celebre scrittore e letterato, autore del romanzo La messa dell’uomo disarmato. Leggo in sequenza alcune sue riflessioni, spigolate qua e là nei suoi testi, per giungere ad alcune domande:
«Il mondo continuerà a girare come i filtri e gli agitatori, si costituiranno nuove commissioni per lo studio della pastorale per il mondo del lavoro e i miei amici timbreranno il cartellino fino all’età della pensione, se ci arriveranno. Di tanto in tanto la chiesa assicurerà che ama i lavoratori perché Cristo era un lavoratore, che è coi poveri perché Cristo era povero, e ai miei amici non importerà nulla perché non sanno che farsene dell’amore della mia chiesa» (Come un atomo sulla bilancia. Storia di tre anni di fabbrica, pag. 133).
«Non si può annunciare il gratuito in cambio di qualche cosa, come non si può fare la campagna antifumo con la sigaretta in bocca» (Ibidem, pag. 253).
«Il problema è se possiamo ancora accontentarci di essere “vicini” al popolo e non uno del popolo. Essere “vicini” non fa che accentuare la separazione: è una forma di paternalismo illuminato, più pericoloso di ogni distanza chiara e non camuffata» (I miei amici. Diari 1968-1970, pag. 204).
«Mi pare, in buona coscienza, che il grande peccato di questa Chiesa che è la mia, che sono io, sia di costituirsi al di fuori della potenza dello Spirito che non soggiace ai mezzi umani. È una continua grande mancanza di fede che, paradossalmente, viene ammantata di fede in Dio e nel suo Cristo nella misura in cui la volontà dell’uomo, la sua interpretazione degli avvenimenti, le si fanno coincidere col volere di Dio» (Ibidem, pag. 358).
«A che serve la mia vita? A fare un bel gesto? A vivere l’Evangelo? A preparare un tempo più autentico per la Chiesa? Ad assommare inutilità su inutilità, vanità su vanità? Veramente Dio tace. Siamo nel periodo del sepolcro vuoto e del silenzio del Risorto» (Ibidem, pag. 393).
«Il punto fondamentale mi pare sia l’evangelizzazione di questa Chiesa clericale per potere avere, poi, il fiato per uscire dai nostri decadenti cenacoli, pieni di paure e di infedeltà. Il prete in una fabbrica potrebbe concorrere a ciò? Oggi come oggi mi sembra improbabile per non dire impossibile. E allora che ci sto a fare?» (Ibidem, pag. 784).
Don Luisito coglie nel segno alcune questioni poste dall’esperienza dei preti operai. In filigrana, le frasi citate sottintendono alcune domande provocatorie che faccio venire a galla:
Come essere Chiesa incarnata nella storia, non solo vicina alle persone, ma Chiesa di popolo?
Come essere Chiesa che annuncia l’amore di Dio gratuito nella gratuità? I preti operai hanno mostrato questa dimensione della vita cristiana, ben presente in san Paolo che ha lavorato per mantenersi…
Come testimoniare una Chiesa libera dalle logiche del potere e che non vive di mezzi esclusivamente umani?
L’esperienza dei preti operai è ancora utile? Ha ancora un senso che possiamo condividere e rilanciare? Come può questa esperienza evangelizzare una Chiesa clericale?
L’attenzione è di non buttare il bambino con l’acqua sporca, di saper estrarre dal tesoro «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52), come insegna il vangelo. È l’atteggiamento che suggerisce anche il teologo ceco Tomáš Halík in uno dei suoi ultimi testi sul futuro del cristianesimo:
«Anche stimoli provenienti dalla prassi – come l’attività dei preti-operai o l’esperienza dei sacerdoti della Chiesa sotterranea nella Cecoslovacchia comunista, che univano il servizio sacerdotale a una professione civile – meritano di essere rivalutati. Il modello della sinodalità, della decentralizzazione della Chiesa, avanzato da papa Francesco può forse aiutare questi cambiamenti, perché le soluzioni concrete devono sempre rispondere alle condizioni sociali e culturali dei singoli Paesi. Dobbiamo però tenere sempre a mente che un rinnovamento reale della Chiesa non può venire dalle scrivanie dei vescovi né da riunioni e conferenze di esperti, ma presuppone potenti impulsi spirituali, approfondite riflessioni teologiche e il coraggio di sperimentare» (Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare, pag. 86).
Voi avete sperimentato, pur tra critiche e indifferenza. Emerge prepotente il legame tra l’esperienza dei preti operai e il modello di Chiesa sinodale voluto da papa Francesco, una Chiesa decentrata e in ascolto, in discernimento e capace di profezia. Potremmo oggi aggiungere il nostro piccolo tassello al puzzle del Cammino sinodale della Chiesa italiana. Nulla vada perduto di ciò che è accaduto per amore. Come scrive don Primo Mazzolari: «Ci interessa di perderci per qualche cosa o per qualcuno che rimarrà anche dopo che noi saremo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci» (Impegno con Cristo, pag. 52).