Letture
Carissimi,
ci conosciamo da circa 20 anni. Non vi appaia strano o scortese che mi faccia vivo ora e così. Ho vissuto, da lontano, le vostre stesse idealità, le vostre scelte e il modo di vivere.
Posso dire che le vostre riflessioni, i vostri incontri, il desiderio di essere se stessi anche contro tutto e tutti sono stati il pane di cui mi sono nutrito.
Io racconto uno scorcio della mia vita in mezzo ai problemi sociali e religiosi che mi hanno segnato profondamente e fatto decidere per un salto che avrei voluto evitare solo se le condizioni di vita, la comprensione fosse stata diversa.
Nel racconto, ad ogni pagina, ci siete voi. I vostri desideri e le vostre aspirazioni, le vostre sofferenze e gioie.
Vi ringrazio.
Guido Floris
Nativo di Uras, centro agricolo dell’oristanese, famiglia trapiantata a Carbonia, attratta dal miraggio delle miniere, residenza nel quartiere operaio di via Bellini, padre minatore e, naturalmente, comunista, Guido Floris narra e rimedita la sua esperienza di vita.
Sacerdote a 27 anni, due lauree, prima vice parroco e poi parroco, prete operaio nelle aziende agricole del Basso Sulcis, lascia l’abito talare nel 1993 e crea una propria famiglia.
“A chi può interessare la storia di uno che, dopo 25 anni di sacerdozio, lascia?”, si chiede Guido Floris nell’apertura del libro e l’auspicio dell’ultima pagina è anche risposta alla domanda iniziale: che le sue riflessioni gettino uno sprazzo di luce su vicende che trascendono una persona e aiutino gli amici di un tempo a capire. Appunto: questa storia interesserà quanti hanno voglia di riflettere e discutere, capire nel profondo più che giudicare. Questi sono molti di più di quanti non si creda: c’è anche molto amore e interesse nella nostra società e non solo cinismo.
Guido Floris, animo mite, scrive con parole semplici, profonde, pacate, sofferenti. Nondimeno, il suo è un libro scomodo, un pugno nello stomaco, come tutto ciò che esce dal codificato e dal proclamato senso comune (ma poi è davvero comune?).
Nel leggerlo viene in mente uno scritto di Indro Montanelli su Don Lorenzo Milani, a proposito dell’ordine di ritiro dalla circolazione del volume Esperienze pastorali, disposto sul finire degli anni cinquanta dal Sant’Uffizio. Montanelli si diceva razionalmente d’accordo con quell’ordine e, in più, definiva, testualmente, “baggianate” alcune delle posizioni sociali del priore di Barbiana. Confessava tuttavia inquietudine, non poteva dirsi sereno nel riconoscere che, in realtà, Don Milani aveva osato mettere in allarme la parte di se stesso che chiedeva prudenza e amore per il quieto vivere. Don Milani disturbava non la quiete pubblica, ma la sua quiete privata. E dunque sia condannato: non siamo forse il Paese che spesso ha risolto il conflitto con il rogo?
Di fronte ad un libro come quello di Guido Floris è soprattutto la nostra coscienza privata, laica o religiosa, ad essere disturbata. Lo liquideremo dunque, con un’alzata di spalle e con pigrizia? Faremmo un torto a noi stessi. E poi i problemi fondati sono sempre più forti delle volontà contingenti.
Guido Floris è stato prete operaio. Storia complessa e tormentata, quella dei preti operai. Nascono in Francia, sotto l’impulso e la protezione del Cardinale Arcivescovo di Parigi Suhard, parlano della cattolica Francia come di una terra di missione. La tonaca diventa una tuta blu. Il Cardinale Arcivescovo resisterà alle pressioni della Curia Romana, sino alla fine dei suoi giorni.
All’inizio degli anni ‘50, il Papa bandisce il lavoro manuale, distintivo dei preti operai. Molti non rinunceranno, diventeranno insoumis, non sottomessi.
Il Concilio Vaticano Il e i fermenti religiosi e sociali degli anni ‘60 e ‘70, rilegittimeranno quelle esperienze, alimentandone una forte crescita: anche in Italia alcune centinaia di sacerdoti sceglieranno di far coincidere ministero e condizione operaia.
Anni straordinari, gli anni ‘60 e ‘70. Aldo Capitini, Giorgio La Pira, Danilo Dolci, Lorenzo Milani, rivoluzione sociale e francescanesimo, preti operai e teologi della liberazione sudamericana, I’Abbé Pierre: nomi ed esperienze che parlano a tutte le coscienze, autentici monumenti di moralità e di dedizione per l’altro.
È in quel crogiolo di idee e slanci generosi che, anche nel Sulcis, nasce una significativa esperienza di preti che scelgono di vivere il proprio ministero non semplicemente con gli operai, ma da operai, vogliono essere come loro, in miniera, nelle fabbriche metallurgiche di Portovesme o nei campi, come Guido Floris.
Si sviluppa un dialogo e un confronto di idee molto intenso e di grande spessore culturale tra questi e la sinistra. Al centro c’è l’interesse per la liberazione dell’uomo, per la sua dignità.
Radical borghesi e liberaI borghesi useranno in senso spregiativo l’appellativo di cattocomunisti: lo fanno ancora oggi nei confronti di chi marcia per la pace o osa pensare che la dottrina della guerra preventiva è criminale.
L’esperienza dei preti operai evolverà talvolta nella militanza sindacale, a voler significare che non vi era la possibilità di una crescita dello spirito senza la tutela della dignità del lavoro. Capiterà anche a Guido Floris.
Non è obiettivo del libro fare un bilancio dell’esperienza dei preti operai, che del resto non si sono estinti, benché fortemente ridotti nel numero, come del resto le tute blu con la trasformazione del mondo del lavoro. Ci sono ancora, si ritrovano, si impegnano nella lotta contro le disuguaglianze, contro gli effetti nefasti della globalizzazione. Guido Floris offre la sua testimonianza ed è tanto, poiché la sua scelta rimanda allo spirito che ha mosso milioni di persone a mettere al centro della propria azione, in termini molto concreti, il tema dell’emancipazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù, materiale e morale, e a schierarsi, senza riserve, dalla parte dei “dannati della terra”.
I segni sono sostanza! Del resto, a sinistra non abbiamo forse nostalgia del volto scarno e della giacca in tweed di Berlinguer e del trench liso di Nenni, contro il vociare di banche e di griffe?
E non c’è molta, troppa, attenzione, anche a sinistra, all’andamento dei mercati finanziari, eretti a nuova, invisibile e potente, divinità, che tutto vede e tutto giudica, mentre poco si conosce e poco si condivide della condizione di emarginazione di tanti, uomini e donne, giovani e anziani?
Non si dovrebbe guardare con rispetto alla stagione che Guido Floris rievoca e capirne e praticarne il nucleo essenziale dei valori che la animarono?
Il nostro autore è diventato un ex-prete. Per gli ex ogni lingua ha un appellativo pesantemente negativo per definirne la situazione.
Non è neppure raro che gli ex, di qualsiasi natura, siano animosi: non è questo il caso. Le pagine di Floris vivisezionano la formazione e lo sviluppo della propria personalità.
Il celibato non è la prima causa dell’insostenibilità del suo essere e delle scelte di vita. Più di tutto, pesano l’insufficienza degli strumenti con i quali affrontare le sfide del tempo e la solitudine.
Confessa la debolezza e la miseria della condizione umana. Prova grande sofferenza e la più grande è la gioia della paternità costretta alla clandestinità.
Chiede che lui e gli altri nella stessa condizione siano semplicemente riconosciuti. Nei mesi scorsi centinaia di migliaia di persone hanno letto le piccole meditazioni sulla fede e sul senso della vita dell’Abbé Pierre. L’Abate, conosciuto negli anni giovanili come organizzatore di campi di lavoro in favore dei più poveri, dice molte cose, comprese quelle sul celibato dei preti, molto simili alla riflessione di Guido Floris. Il prestigio e l’autorevolezza morale dell’Abate ne fanno uno degli uomini più rispettati ed ammirati del nostro tempo, dentro e fuori la Francia.
Nasce da qui la grande risonanza delle sue parole: non hanno destato scandalo, ma dibattito.
Non merita forse pari attenzione e pari rispetto la storia di un prete fattosi bracciante nelle campagne del Sulcis e che vive in condizione di grande sofferenza la ricerca del senso della vita?
Salvatore Cherchi
sindaco di Carbonia