Domenica 30 aprile 2023, cinque persone del coordinamento nazionale di NOI SIAMO CHIESA ci siamo incontrati a Bologna col card. Zuppi. Ciascuno di noi ha preso la
parola per sottolineare qualche aspetto preciso.
Trasmetto il mio intervento che può essere pubblicato sul nostro sito.
Ciao. Roberto Fiorini

Parto da lontano: dagli inizi della mia vita di prete, cioè dal Concilio e dal suo spirito vissuto.
Giovanni XXIII: Radiomessaggio 11 settembre 1962: “Altro punto luminoso. In faccia ai paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta qual è e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.
Due anni dopo il card. Lercaro presenta a Paolo VI un dossier, richiesto dallo stesso papa, “Appunti sul tema della povertà nella Chiesa”. Nella premessa enuncia da un lato l’intuizione profetica che la povertà rappresenta e dall’altro l’impossibilità di procedere sul cammino intravisto. Si era in pieno concilio, c’era l’attenzione del papa e tuttavia viene confessata una situazione di impotenza a procedere oltre:

Il problema della povertà evangelica nel nostro tempo è posto, l’aspirazione si diffonde e si approfondisce; il numero di coloro tra i vescovi, che desiderano passare dalle parole agli atti si accresce di giorno in giorno. Ma, sia sul piano dottrinale sia sul piano delle proposte pratiche, sfuggono ancora alla presa i punti nodali: si sente che manca ancora qualche cosa per arrivare a conclusioni immediate, capaci di un’incidenza concreta. Ciò è doloroso quanto sintomatico. Indica in quale misura il nostro pensiero, il nostro costume, le nostre istituzioni, tutto l’ambiente e la civiltà che pur si dice ispirata al cristianesimo, si sia per secoli e secoli allontanata dallo spirito evangelico e si sia consolidata e strutturata in forme concettuali e in modi di vita, che oggi costituiscono un grave ostacolo a ogni tentativo di ritrovamento del senso cristiano della povertà, una forte remora a operare una semplificazione e liberazione degli atteggiamenti individuali, come dei comportamenti comunitari e delle strutture ecclesiastiche. Di fronte al peso del passato e all’inerzia del presente, le buone intenzioni e i desideri anche più ardenti sono costretti a segnare il passo…Eppure l’urgenza è grande…[“Sulla Chiesa povera”, La Meridiana Molfetta, pag. 90].

La nostra storia di pretioperai rappresenta un tentativo di dare corpo alla parola di papa Giovanni XXIII e allo spirito del patto delle catacombe formulato e sottoscritto da 40 vescovi conciliari a cui si aggiunsero altri 500 vescovi. “Una forma di radicalità evangelica fu la scelta di mutare sistema di sostentamento, di formazione e di vita del clero. Il fenomeno del prete operaio costituisce nella sua immediatezza, una delle prove più lampanti di un cambio dì paradigma rispetto ancien régime” (Andrea Grillo).
Nel 2005, a 40 anni di distanza dalla conclusione del Concilio, i pretioperai con la loro rivista hanno riflettuto e organizzato un convegno dal titolo “Dov’è la Chiesa dei poveri?”. In quell’occasione Vittorio Bellavite mi ha chiesto se potevamo insieme dare vita a un nuovo convegno da realizzare a Milano. Da qui è nato questo libretto che le offriamo. Stampato nel 2008, nei fatti mantiene per intero la sua attualità [AA.VV, Sulla Chiesa povera, La Meridiana Molfetta].
Occorrerà attendere papa Francesco per udire le sue parole rivolte alla stampa, tre giorni dopo l’elezione: “Vorrei una Chiesa povera e per i poveri”. Un lungo arcobaleno connette le parole di Francesco con quelle del papa buono.
Potrei sbagliarmi, ma non mi pare che la Cei abbia mai fatto proprie le parole dei due papi, forse perché nella concreta situazione italiana, dinanzi all’opinione pubblica, tali affermazioni potrebbero rivelarsi un boomerang. Sono ancora attuali le parole che Lercaro indirizzò a Paolo VI?

Noi vogliamo la riforma della Chiesa e ci riferiamo in particolare alla Chiesa italiana. Nei tempi passati i ricercatori della riforma della Chiesa la connettevano con la memoria della povertà evangelica da attualizzare. Anch’io sono convinto della loro congiunzione, come realtà che deve informare la vita delle persone credenti, delle comunità e delle realtà istituzionali della Chiesa, con tutti i tagli che ne derivano ai vari livelli. Nel nostro mondo occidentale, invaso ancora dalla società dei consumi e dal dominio della finanza, con la massa di scarti umani che ne derivano, l’adozione della povertà evangelica rappresenta un segnale, un kairòs che dà un volto alla differenza cristiana in un tempo nel quale sembra diffusa l’irrilevanza del messaggio cristiano per l’umanità di oggi.
A me pare che il discorso fatto si integri perfettamente con il messaggio della Laudato si’, al sesto capitolo in particolare, dove si parla di “una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione” (202), di “cambiamenti di stili di vita” (206), di un “nuovo inizio” che deve avvenire (207) citando la Carta della terra. Invitando alla “conversione ecologica” (216) verso un’ecologia integrale, il che significa che “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (49).
Siamo a un cambio d’epoca. Credo che per la Chiesa, in tutte le sue articolazioni, sia vitale lasciarsi ispirare da quella povertà che viene cantata nelle beatitudini. Un processo di rigenerazione l’attende, al quale non deve e non può sottrarsi.

Roberto Fiorini

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