“Chi dite che io sia?”


 

Oggi ci dibattiamo fra integrismo religioso e New Age. Vivere la propria fede con libertà ma senza essere portati completamente fuori della strada che si sta percorrendo sembra molto difficile.
Ogni volta che mi trovo a ricercare con più autenticità dei modi di dire il rapporto con Dio che siano adeguati al mondo in cui vivo, incontro qualcuno che vuole interpretare questo linguaggio nuovo con le categorie dell’oriente o con quelle New Age. È come se il linguaggio cristiano non fosse più autorizzato a dire la verità. È come se i due millenni di storia fossero percepiti dai nostri contemporanei come gabbie, che non comunicano più niente, se mai hanno comunicato qualcosa.
Per me è importante invece affermare un collegamento vitale fra la radice che affonda nei testi biblici e nella storia — ossia nell’esperienza di vita e di fede di donne e uomini lungo la storia — e la necessità che questa stessa fede parli a noi oggi: ci ponga di fronte alla sua promessa e al suo giudizio. Per me è importante che anche dai testi cristiani sia possibile trarre elementi preziosi e luminosi per la nostra esistenza.
Negli anni settanta le donne hanno significato con un vero e proprio “esodo dalle chiese” l’esperienza di lontananza delle chiese e della predicazione cristiana rispetto alle loro vite. Questo “esodo” non è terminato, e spesso accade di trovare comunità di ricerca spirituale svincolate dalle chiese e basate sulla volontà di compiere insieme un cammino. Gruppi di questo genere sono quasi sempre espressione di identità cosiddette deboli o marginali: per esempio donne o omosessuali. Identità che si interrogano, che non accettano semplicemente di stare nel luogo loro assegnato ma rivendicano la possibilità di essere espressioni umane a tutto tondo: le donne come soggetto umano completo, non più dimezzato o mancante, gli omosessuali credenti come parte preziosa del popolo di Dio.
Anche se oggi nella società l’identità maschile è andata in pezzi e manca di riferimenti sicuri, all’interno delle chiese cristiane resiste ancora un modello maschile forte, appoggiato sulla maschilità paterna di Dio e sul ruolo ministeriale dominante degli uomini. Per il momento le chiese sono meno toccate dalla crisi dell’identità maschile che scuote tutta la società occidentale. Certo il discorso portato avanti dalle donne nella chiesa e il linguaggio femminile su Dio in breve tempo porterà anche all’interno delle chiese una ventata che farà cadere le ultime certezze e permetterà di ripensare interamente l’identità umana, parziale e sessuata, di fronte a Dio.
I percorsi di ricerca di donne e di omosessuali si collocano però al momento fuori dalle chiese: sono una delle esperienze di quell’azione dello Spirito che agisce a partire da ciò che è rifiutato e disprezzato, da ciò che viene espulso dalla casa comune (il servo dell’Eterno, Is 53: 1-3; la pietra rifiutata dai costruttori, I Pietro 2: 4-7). La salvezza viene proprio dall’esterno, dal luogo in cui sono crollati i parametri tradizionali di riferimento, dal luogo in cui si cerca, perché essenziale alla vita, un rapporto autentico con Dio.
È facile, infatti, quando si sta dentro una tradizione consolidata, adagiarsi nell’abitudine e nella ripetizione. Chi sta fuori, invece, “non ha un luogo dove posare il capo”, cerca con ansia la sua casa. Là dove manca la sicurezza offerta dall’istituzione e dalla liturgia, proprio là si gioca la partita più importante: la ricerca autentica di fondare la vita nella relazione significativa con Dio. Mi sembra importante ricordare che per lungo tempo il Dio d’Israele dimora in una tenda, e che la pretesa di costruirgli una casa, un tempio, provoca una crisi della fede e della teologia ebraica. Inoltre anche l’identità cristiana è delineata più come un camminare e spostarsi nelle tende che come un abitare case che rischiano di rinchiudere la vita e la speranza, di fermare il cammino (Ebrei 11: 13-16).
La ricerca delle donne si muove in molte direzioni e va a recuperare il contatto con una spiritualità molto antica di rapporto con la terra. L’espressione femminile della trascendenza diventa così un punto di contatto con la sacralità dei corpi e della natura, del cosmo nel quale siamo venute alla vita. Nell’esperienza di riscoperta di questo contatto sacro con il mondo molto spazio trovano la mediazione, il rapporto con se stesse e con la terra, lo scambio di emozioni e di visioni, lo scambio dei corpi, il recupero di rituali che dicono la preziosità dei corpi (unzione, abbraccio, ecc.), la ricerca sui simboli antichi legati ai culti della Dea.
Cosa ha a che fare tutto questo con Cristo? Potrebbe sembrare un percorso del tutto esterno e che non ha nulla da portare alla fede cristiana. Eppure spesso questi percorsi vengono compiuti per recuperare un’interezza di essere all’interno della fede cristiana. Mary Daly scrive che l’avvento della donna/delle donne è l’avvento dell’Anticristo: è cioè il rovesciamento delle gabbie che hanno reso muta per le donne la fede cristiana, allo scopo di ridare valore a quanto di prezioso e sorgivo lì esiste e resiste. È un passaggio necessario per delle donne che non hanno paura di uscire dai confini della teologia patriarcale, perché quei confini ormai non contengono più che un territorio desolato; donne che hanno sete e cercano l’acqua del pozzo fatto sgorgare da Dio in mezzo al deserto per dissetare Agar e suo figlio (Genesi 21: 16-21). Come Agar, queste donne si spingono nel deserto, pur di non accettare la schiavitù di rapporti improntati a un ordine patriarcale. Come Agar, è nel deserto che si incontra la parola di libertà e di promessa che apre un nuovo ambito di esistenza, e che permette di vivere a testa alta anche di fronte a Dio. Agar è una donna orgogliosa, una virtù spesso considerata negativa nelle donne. Eppure sono il suo orgoglio e la sua sete di libertà che permettono al figlio di avere un futuro e a lei di ricevere, unica fra le donne nel Primo Testamento, la promessa e il patto di Dio con la sua discendenza. Oggi, la nostra ricerca di libertà, forse orgogliosa, certo piena di forza per le immagini trasformatrici che ci sono offerte dal passato, cerca di nuovo come una necessità vitale il patto con Dio per tutta la nostra discendenza. Di fronte alla distruzione della terra noi aneliamo alla guarigione, di fronte alle ferite impresse dalla fame e dalla corruzione dei poteri economici nell’umanità noi aneliamo al nutrimento. Riponiamo la nostra fiducia in colei che, Dio della vita, non rinuncia alla nostra esistenza. Già negli antichi riti degli indiani d’America era il pianto delle donne che guariva la terra. Nella mitologia greca, più vicina a noi, è il riso di Demetra che permette la rinascita e la fecondità ritrovata della terra. Un riso che avviene nella relazione con un’altra donna. Sperimentare il riso e il pianto porta a sentire nuovamente che Dio è presente nei momenti intensi e nodali della nostra esistenza.
Cristo non diventa inessenziale in questo cammino proprio perché la sua pratica non può essere abbandonata con quella della chiesa. Gesù Cristo come lo conosciamo attraverso i vangeli esprime la libertà propria di chi si muove come figlio di Dio nel mondo: consapevolezza e gentilezza, per riprendere il linguaggio buddista; attenzione e vicinanza ai corpi; tenerezza e ricerca di giustizia. Il cammino di Gesù Cristo non può essere ignorato perché Gesù indica la stessa direzione: quella della salvezza raggiunta non estraniandosi dal mondo reale e costruendo poteri liberi dalle necessità dei corpi, ma invece ben radicata nelle relazioni di cura e di amore che sono necessarie alla vita per nascere e svilupparsi. In questa direzione non si tratta più di affermare il primato di una fede o di una comunità religiosa rispetto ad altre, ma di trovare il cammino comune che ci permette di stare sotto lo stesso orizzonte di pace, di luce, di giustizia, di armonia.
Che le chiese non siano più mediatrici necessarie della salvezza ma testimoni importanti solo in quanto si fanno canale di comunicazione con il Dio di Gesù Cristo, non mi sembra un dato negativo. Questo infatti riporta le chiese alla loro dimensione umana, le riporta a sottoporsi alla Parola che, sola, le giustifica e le salva. La chiesa è — scrive Lutero — la grande peccatrice, e per questo la sua esistenza e il suo cammino si costituiscono sulla grazia di Dio. “Beato chi ha fame e sete di giustizia, dice Gesù, perché sarà saziato” (Matteo 5: 6). L’importanza della chiesa sta nella sua consapevolezza di non avere la salvezza in sé, di non possedere la verità, ma di doverla sempre ricercare e ricevere fuori da sé, nel rapporto costante con Dio. Una chiesa che si costituisce sulla mancanza e sulla dipendenza assoluta da Dio viene sbalzata fuori dalla posizione arrogante di chi si considera padrone e mediatore della verità per l’umanità intera. Mostrare la propria mancanza significa indicare al di là di se stessi, indicare agli uomini e alle donne che la pienezza della grazia di Dio sta fuori dalle mura sicure di una chiesa. In questo modo la chiesa, le chiese, possono ritrovare la propria vocazione di testimoni, nella storia umana; testimoni di qualcosa di molto più grande di loro, di cui loro non possono che mostrare un frammento, e accogliere con gratitudine i frammenti che vengono dall’esterno. Anche se questo non significa lasciar inglobare il nostro linguaggio di fede nelle visioni più generali del linguaggio religioso New Age. Le chiese stanno imparando, anche grazie al percorso ecumenico, a uscire da un atteggiamento inglobante nei confronti della spiritualità umana, e arrogante rispetto alla verità. A questo punto comprendiamo che nessun linguaggio religioso può dire la totalità dell’esperienza umana con Dio. Al contrario, recuperiamo proprio quei linguaggi, gesti, tradizioni, specifiche della nostra fede, perché lì possiamo trovare nutrimento per stare dentro un orizzonte composto di molti colori, e non monocromo.
Le chiese cristiane non hanno nessuna preminenza nell’accesso a Dio. Eppure sono dei luoghi in cui può ancora risuonare efficacemente la Parola di Dio. Quella Parola che non si interessa al possesso della verità ma alla ricerca di libertà per gli esseri umani: “l’essere umano non è fatto per il sabato, ma il sabato per gli uomini e le donne” (Marco 2:27). Il sabato, giorno di meditazione e di contatto con Dio e con la natura. Il sabato, giorno aperto sulla presenza messianica di Dio che opera nel mondo la nuova creazione.

Letizia Tomassone


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