Frammenti di vita


 
Si è sciolta, meglio si dovrebbe dire, è stata sciolta nel mese di ottobre 2003 la Comunità Francescana di Via della Pila a Venezia – Porto Marghera.
Angelo, Mario, Luciano, Tarcisio e poi Mario il giovane, per distinguerlo dal precedente più anziano, sono i nomi dei frati che per 30 anni hanno dato vita a questa fraternità originale, che ha segnato veramente un pezzo di storia del territorio veneziano.

È bene ricordare per i più giovani o per chi non è della zona che cosa ha rappresentato la Comunità, per rendere omaggio a persone che hanno dato una testimonianza forte e autentica del messaggio cristiano, e per i significati, simbolici che tale esperienza ha rappresentato per la città.
Essa veniva da alcuni chiamata anche ONARMO, e tale sigla continua, a campeggiare sul muro esterno dell’edificio. ONARMO è la dizione storica dell’istituzione ecclesiale, che molte diocesi, e quindi anche quella di Venezia, avevano sin dagli anni ’50 per la Pastorale del lavoro, soprattutto nelle zone a forte concentrazione industriale.
All’inizio degli anni ’70 la presenza nell’edificio di via della Pila, con questo dichiarato ruolo, fu affidato ai 4 frati. Eravamo nell’apice temporale dell’espansione industriale di Porto Marghera, con i famosi 40.000 addetti e in procinto della svolta di declino che ridurrà in 30 anni tale presenza a un quinto. Per chi non lo sapesse, la casa della Comunità si collocava proprio a ridosso delle fabbriche e del porto commerciale, in una zona di fabbriche più piccole e di vie dai nomi che ora possono apparire anche patetici, ma dal grande significato storico simbolico: via dell’Elettricità, via delle Macchine, via delle Industrie e, appunto, via della Pila. Nei nomi un’ingenua semplificazione dell’epopea industriale. Si può ben dire che del grande passaggio e del grande declino la Comunità sia stata testimone. Così come delle grandi lotte, perché risulta evidente in chiave storica che il contesto era allora lo scontro, alimentato dalle recenti manifestazioni del ’68, tra operai e padronato.
Questo contesto produce la svolta in una parte della Comunità: il superamento di un atteggiamento pastorale della Chiesa dall’esterno verso il mondo del lavoro, per un coinvolgimento diretto con la scelta di lavorare insieme agli altri. Una “scelta di classe”, si sarebbe detto allora. Luciano andò a fare l’infermiere al Policlinico San Marco e Mario a lavorare con vari ruoli nelle mense operaie, per lungo tempo all’Italsider e poi in altre.
L’esperienza pilota in quegli anni era quella dei Preti Operai, a cui evidentemente i frati di via della Pila si erano rifatti. Non furono gli unici ad operare questa scelta, in diocesi, come ben si sa, ed anzi a Venezia e a Porto Marghera vi fu un grosso nucleo di preti diocesani che spiccava anche a livello nazionale, tra tutti i nomi storici di Gianni Manziega e di Roberto Berton. Con loro si stabilì un asse che portò poi la sede di via della Pila ad ospitare i periodici appuntamenti del movimento dei Preti Operai a livello cittadino e regionale.
Un’altra parte della Comunità mantenne invece il ruolo tradizionale di cappellani nelle fabbriche. I frequentatori di allora si sono a volte chiesti come convivessero le due anime, apparentemente per quegli anni, inconciliabili. A distanza si può intravedere che quella fu anche una scelta non priva di tensioni, eppure accettata non come semplice compromesso, ma come possibilità di far convivere diversità e di mantenere aperto il dialogo in tutte le direzioni e con molti modi.
Erano, li si ricorderà, periodi carichi di tensione. L’antagonismo sociale diventava forte, con frange di violenza che si conclusero nei primi anni ’80 negli omicidi di Taliercio, Gori e Albanese. Le tensioni si ripercuotevano anche verso la Comunità e non mancarono i conflitti con la diocesi e con la provincia francescana, proprio in quel periodo.
Lo stile dei frati, il loro legame in quel periodo dette loro evidentemente la forza per resistere a precoci tentativi di chiusura o di trasferimento.
Negli anni ’80 la Comunità manifestava pienamente questo carattere di comunità aperta. La celebrazione eucaristica del sabato era frequentata da nuclei fissi e da gente di passaggio che trovava in quel momento la possibilità autentica di stringere una mano. C’era chi bussava per indigenza ed era accolto con uno stile che era l’opposto dell’assistenzialismo, fraterno, e nello stesso tempo, non pietistico. Anche gli amici potevano andare quando volevano a fare quattro chiacchiere e a mangiare un boccone (detto per inciso, si mangiava proprio bene). Per tutti gli anni ’80 e poi anche nei primi anni ’90 si stabilizzava al sabato sera un gruppo di base che insieme a Mario celebrava l’Eucarestia con l’omelia dialogata. Famiglie giovani con figli piccoli che crescono insieme con questa esperienza .
Accanto a questo, altri gruppi si incontravano in quella sede. Va ricordato quello dell’UNITALSI, l’organizzazione dei pellegrinaggi a Lourdes e, più tardi, il MASCI, gli adulti scout . Come si vede gruppi decisamente diversi dal primo o dai Preti operai e più assimilabili al filone ortodosso della Comunità. Anche queste diversità hanno convissuto con dialoghi non sempre facili o sciolti, ma con incontri umani autentici, raccolti attorno all’Eucarestia. L’Eucarestia si celebrava attorno ad un altare che poggiava su ruote dentate autentiche e su un’incudine. Questa costruzione ha un valore simbolico per tutta questa storia, perché questi sono realmente strumenti storici, tecnologie storiche, emblema di un mondo, quello dell’industria metalmeccanica, che ha portato a compimento il suo ciclo, iniziato oltre un secolo fa e, a Marghera, 80 anni fa. Simboleggia un’epoca conclusa, contrassegnata da scontri titanici e da una logica di sfruttamento del lavoro che, purtroppo, quella no, non è affatto superata. 0 si è trasferta altrove, o la ritroviamo ancora qui nei volti di chi ha sostituito la vecchia classe operaia, volti di cingalesi, slavi, albanesi, turchi, ancora una volta privi di garanzie ed esposti al meccanismo del profitto, oggi come un tempo.
La Comunità di via della Pila è stata testimone di questa fase, contrassegnando una presenza di Chiesa capace di stare una volta tanto dalla parte dell’uomo oppresso e vivendo coerentemente il Vangelo.
L’altare con le ruote dentate è un po’ il simbolo di tutta questa storia che si conclude come si devono concludere ad un certo punto le storie, se un ciclo è esaurito. Difficile dire se fosse realmente esaurito o se poteva esserci qualche opportunità per continuare. I frati ora si sono divisi e si sono sparpagliati nelle diverse Comunità, chi in Lombardia, chi a Padova e chi come Mario e Luciano nelle due chiese Francescane cittadine, al Sacro Cuore di via Aleardi e ai Frari. Ci auguriamo tutti che con forme nuove e in nuovi luoghi la loro storia continui.

 

Carlo Rubini


 

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