Ricordando Emilio Coslovi (4)


 

Omelia del vescovo di Trieste mons. Eugenio Ravignani alla Messa del funerale

 

Fratelli e sorelle nel Signore,
in questa chiesa dove fino all’ultimo egli visse il suo ministero sacerdotale nell’accoglienza a chi cercava consolazione e perdono nel sacramento della riconciliazione, ci congediamo oggi, in questa liturgia esequiale, da don Emilio e all’amore del Padre lo consegniamo perché viva per sempre in lui nella pace.
Non è questo il momento per chiedere conforto a parole umane. Apriamo il cuore a Dio e a lui chiediamo una parola che ci aiuti a leggere nella vita di un uomo, credente e sacerdote, appassionato difensore della giustizia e amico vero dei poveri e degli ultimi. Una vita integra, segnata dall’inquietudine interiore e dalla sofferenza delle incomprensioni, a cui però non mancarono mai personale coerenza e generosità nel donarsi per amore.
Due passi della parola di Dio, l’uno tolto dalla prima lettera di Giovanni apostolo e l’altro dal vangelo secondo Matteo, a me sembrano illuminarci sulla sua esperienza terrena. Eccoli. “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20) … “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 25-26).
1. Amò Cristo e al suo invito a farsi suo discepolo e partecipe del suo sacerdozio, rispose con immediatezza. Mentre andava maturando negli anni questa sua risposta, crebbero in lui — e chi lo ricorda lo sa — la forte volontà di mantenere assoluta fedeltà all’impegno che avrebbe assunto e la ferma determinazione di una coerenza a cui non venne mai meno.
• Fu questa coerenza — sostenuta da una profonda rettitudine — a fargli compiere da sacerdote la scelta di vivere la precarietà della vita operaia, divenendo egli stesso operaio. Sentiva che quella era la concreta incarnazione del suo essere prete. E volle condividere con loro incertezze e difficoltà, problemi ed attese, la dura fatica del lavoro del giorno e dei turni della notte. Non aveva tante risorse di energie fisiche: le spese però tutte. Senza risparmiarsi mai. Dando se stesso, totalmente.
• Fu questa coerenza che lo portò a fianco dei lavoratori per difendere i loro diritti ignorati o calpestati, che non solo gli fece denunciare con vigore ogni ingiustizia, ma lo impegnò appassionatamente nel promuovere una giustizia che sia vera. Una giustizia che nella società non emargini il debole e consenta al potente di prevalere, che non renda insopportabile la miseria dei poveri mentre accresce la ricchezza di tanti. Una giustizia che non tolleri l’umiliazione dei paesi poveri offesi nella loro dignità. Su questa linea si poneva nel condannare ogni violenza ed ogni guerra e invitando tutti a costruire un mondo nuovo nella pace.
• E fu ancora questa coerenza che lo portò ad abbracciare la causa dei poveri e di chi vive ai margini anche in questa nostra città. Una scelta per i poveri che gli impose di vivere da povero, perché nessuno nel bisogno provasse disagio incontrandolo, che non gli permise di aver nulla di suo ma gli fece dividere tutto con chi attendeva, oltre ad un aiuto, un segno di comprensione e di amicizia. E, nella bontà del suo cuore, sapeva velare di discrezione e rivestire di delicatezza ogni gesto di solidarietà: vi è chi sa come preparasse con cura i piccoli involti di ciò che donava, vi è chi non dimentica che, in questo periodo natalizio, accanto alla porta, trovò i panettoni donati da lui perché anche quella famiglia facesse festa con i bambini.
2.  Oggi, qui, il vescovo vuol dare testimonianza della coerenza con cui egli è vissuto amando gli operai, i poveri, gli ultimi. E, nello stesso tempo, deve rendere testimonianza del suo amore alla Chiesa. Era amore vero anche quello che occorreva saper scoprire sotto la scorza della durezza di qualche sua critica e di qualche suo intervento. Amò la Chiesa soffrendo forse non tanto perché non sempre le sue scelte furono comprese, o, se rispettate, non condivise, quanto piuttosto per il desiderio impaziente che essa si lasciasse rinnovare nel volto e nel cuore dallo Spirito e fosse casa aperta a tutti, specialmente ai poveri e agli ultimi, in una condivisa esperienza di fraternità e di carità.
3. Fratelli e sorelle, egli è vissuto amando. E ci ha mostrato come l’amore di Dio in lui sia divenuto esigenza di amare i fratelli. Anzi, proprio nell’amare i fratelli ha reso visibile ed autentico il suo amore per Dio. L’apostolo Giovanni afferma che “chi non ama rimane nella morte” e ci rassicura dicendo che “noi passiamo dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli” (1 Gv 3,14). Per questo sappiamo che don Emilio è entrato nella vita che non conosce tramonto.
Ad introdurlo nella casa del Padre è stato il Signore Gesù, dicendo anche a lui: “Vieni, benedetto dal Padre mio, ricevi in eredità il regno preparato per te fin dalla fondazione del mondo. Perché avevo fame e mi hai dato da mangiare, nudo e mi hai rivestito … ogni volta che hai fatto questo al più piccolo dei miei fratelli, l’hai fatto a me” (cfr Mt 25, 34.40).
“Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo signore” (Mt 25, 23).


 

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