Progetti sociali
Uno studio dall’interno della FLC (Federazione Lavoratori Costruzioni)
Quando ci si introduce a parlare di edilizia con gli addetti ai lavori, ho notato che una delle prime cose che vien fuori è l’espressione “atipicità del settore”. Varie e molteplici sono le ragioni addotte: la mobilità intrinseca, la grande varietà di imprese, le diversità territoriali e le varie “tradizioni” locali, etc… Ragioni che hanno una loro parte di verità, ma a me pare che la ragione di fondo sia un’altra: l’edilizia è il settore che ha visto svilupparsi al proprio interno tutti i processi economici e sociali di mutamento di organizzazione dell’impresa e del mercato del lavoro.
La parola edilizia è pertanto polisignificativa: essa comprende un vero e proprio caleidoscopio di realtà aziendali e concomitantemente di figure professionali e sociali. Tutte queste si sono sviluppate nel tempo e l’essere più o meno riusciti a tenerle assieme è stato lo sforzo del Movimento Sindacale. Ciò è espresso dalla stessa varietà di Comitati nazionali presenti nel settore: Edilizia industria, per le aziende private rappresentate dall’ANCE e pubbliche rappresentate dall’Intersind; Piccola industria per le aziende Confapi; Edilizia Cooperativa; Edilizia artigiana. L’istituzione in cui si è cercato di far trovare a queste variegate realtà una loro composizione unitaria è la Cassa Edile, la cassa di mutualità e assistenza per le maestranze edili presente in tutte le province d’Italia. Essa è un organismo paritetico gestito dai sindacati dei lavoratori e dalle organizzazioni padronali, ma in modo quasi totale rappresentate dalle Associazioni provinciali dei costruttori privati.
Già questa rapida panoramica di un settore così articolato mostra che lo sforzo di tenuta assieme ha implicato una serie di accordi sindacato / padronato che ha inevitabilmente dato al sindacato un ruolo via via sempre più istituzionale e sempre meno di operatore sociale: basta pensare alle cosiddette “quote di servizio” su cui la FLC si regge, ma che ha comportato una inevitabile caduta di operosità dinamica dell’organizzazione: paradossalmente vien da pensare che il sindacato era migliore quando era più povero e debole; ciò che poi non è sempre vero, tranne che in situazioni in cui la sicurezza economica giunge a garantire a tal punto le strutture sindacali stesse, trasformandole in vera e propria “burocrazia parastatale”.
Le maestranze edili mostrano per loro parte tutta una serie di diversità al loro interno: l’operaio edile ha una storia più lunga, articolata e diversa da quello metalmeccanico. Se per entrambi c’è una comune prevalente radice contadina e rurale, l’edile per molto più tempo è rimasto un bracciante a mezzo tempo, senza l’esperienza dello stabilimento che con i suoi ritmi e la continuità nel tempo plasma e dona una nuova identità all’operaio. L’identità industriale dell’edile è invece assai più vaga ed incerta per il modo stesso con cui il lavoro edile è organizzato: una miriade di cantieri, polverizzati per numero di addetti (2-3-5 persone per lo più) e su tutto il territorio nazionale.
Ciò che è di interesse prevalente per il lavoratore edile non è quindi l’unità produttiva (cantiere) che di per sé è precaria e neppure l’azienda, che può nascere e morire in breve tempo, ma la Cassa Edile che sola garantisce una continuità di tutela e assistenza.
A questo punto aumenta l’articolazione del settore, perché c’è tutta “l’edilizia nera” che sfugge a tali regolamentazioni, per lo più composta da clan familiari meridionali, i cosiddetti cottimisti, al di fuori di ogni tutela contrattuale e sociale, giacché essa risiede nella stessa famiglia.
Infine l’edilizia “selvaggia”, di quelle maestranze che, pur essendo coperte da tutela sociale e contrattuale, fanno praticamente contrattazione individuale con le aziende con cottimi e fuori-busta fissi. Questo gruppo di lavoratori rappresenta le maestranze più professionalizzate, ormai più emancipate dal settore agricolo, che ho chiamato “selvagge” perché fanno legge a se stessi, costituendo l’esercito dei “trasfertisti”, per lo più in squadre omogenee per mestiere (ferraioli, carpentieri, minatori, muratori) e per zona geografica (paese o provincia) di origine. Per costoro ha importanza minore la Cassa Edile, maggiore il salario diretto che riescono a strappare, quasi nulla l’azienda, nullo il cantiere ove temporaneamente sono occupati né la solidarietà con gli altri compagni di lavoro.
Tali maestranze si trovano per lo più nelle ditte medie e medio-piccole, specialmente allorché queste assumono commesse in subappalto dalle aziende grandi. In queste ultime risiede per lo più la manodopera fissa, che è parte minoritaria del settore, a cui certamente preme il salario indiretto e la tutela sindacale e sociale. Dico che è parte minoritaria, perché le grandi imprese di costruzione hanno poche maestranze, ma sono diventate grandi società finanziarie che grazie alla loro forza economica riescono a vincere le gare di appalto per le grandi opere, per lo più commesse pubbliche, e a sostenerne i costi e i rischi, ma non sono quasi più imprese esecutrici, tranne che per la parte progettuale e tecnica (conduzione dei cantieri e sorveglianza esecutiva con gli assistenti ai lavori); eventualmente portano con sé un ristretto numero di operai superspecializzati (capo officina meccanico, responsabile del betonaggio, capo magazziniere, etc…). Tutto il resto della parte esecutiva è dato in subappalto al vasto caleidoscopio di figure aziendali e operaie descritto.
Tutto questo in un quadro generale di continuo movimento, perché l’edilizia è intrinsecamente una fabbrica che si sposta sul territorio, con le discontinuità, i singhiozzi, le strozzature che ciò implica. Lo sforzo del sindacato consiste nel tentare di governare tutto questo movimento, cosa assai problematica, mai terminata, spesso non tentata neppure. Questa è inevitabilmente la ragione della oggettiva arretratezza contrattuale del settore edile.
Alle ragioni di carattere sociologico vanno poi aggiunte quelle politiche. Storicamente il settore edile è stato forte nel dopoguerra e nel periodo della ricostruzione del paese, allorché l’edilizia non era industrializzata (macchine e tecnologie di cantiere e di prefabbricazione), richiedeva un alto numero di addetti che risiedevano per lo più nei paesi di provincia.
La sindacalizzazione è perciò avvenuta in misura consistente tramite le sezioni di partito presenti nei paesi e la costruzione dei militanti ha assunto una spiccata fisionomia vetero operaista e partitica. Questo è stato soprattutto opera del lavoro svolto dal PCI e dalla Fillea-Cgil. Il grosso delle maestranze edili, che oggi ha un’età media di quasi cinquanta anni, ha questa storia.
Solo negli ultimi sette, otto anni c’è stata una immissione più intensa di giovani che hanno però una storia sociale del tutto diversa e si vivono in genere come in area di parcheggio verso altre forme di occupazione, più stabile e meno faticosa. Manca notevolmente la fascia di età di mezzo, dai 30 ai 45 anni, che riuscì più facilmente a trovare una sistemazione fissa in altri settori.
Tale massa operaia è stata troppo spesso orientata ad obiettivi politici, per lo più antigovernativi, anziché a quelli più specificamente sindacali di contrattazione (è nota l’assenza della Filca-Cisl dall’edilizia fin verso la fine degli anni ‘60): da qui per esempio l’assenza della contrattazione di cantiere, sostituita in certo modo dai contratti integrativi provinciali con cui si è cercato di determinare linee minime di equità del settore nella varietà del territorio nazionale, tentando di introdurre elementi migliorativi che si è poi cercato di estendere con i contratti nazionali ma non sempre con successo.
Tali caratteristiche delle maestranze si ritrovano abbondantemente nelle aziende cooperative, vere e proprie holdings delle costruzioni, specie nelle regioni a governo PCI, ove la quasi totalità degli appalti pubblici è a loro favore. Lo studio approfondito dei rapporti di potere dei consorzi di cooperative edili esula da questo scritto, ma non è possibile sottacere come anche attraverso esse si è ramificato il potere di controllo del territorio da parte delle giunte di sinistra, spesso giungendo ad accordi parasociali di reciproca influenza e spartizione con le Associazioni degli Industriali privati.
Tutto questo se ha dato una relativa sicurezza di lavoro ai soci ha determinato una spaccatura notevole tra base cooperativa mutualistica e governo finanziario e politico dei consorzi stessi, con impermeabilità di passaggi.
Sindacalmente le aziende cooperative hanno costituito una centrale di contrattazione specifica che non sempre si è distinta da quella privata – pubblica. Quando lo ha fatto, ciò ha giovato al settore. Più analiticamente, la base sindacale delle cooperative edili è fortemente a maggioranza Fillea, con non lievi problemi di conciliazione dei conflitti tra linea sindacale e delle centrali cooperative; spesso si realizza il perverso fenomeno dei controllati – controllori.
In definitiva ciò che è mancato al sindacato delle costruzioni è il governo complessivo del movimento del settore, dal momento dell’effettuazione dell’appalto, alla fase progettuale fino a quella esecutiva con la determinazione dell’organizzazione del cantiere, gli appalti e subappalti, la fornitura dei materiali e delle macchine. Quasi sempre il sindacato spende enormi energie nel rincorrere le aziende, a valle, senza essere riuscito a stabilire una sede decisionale a monte, subito dopo l’aggiudicazione dell’appalto, prima della fase progettuale, allorché però le maestranze non ci sono ancora! È questa la sostanziale posizione di debolezza del sindacato edile.
Un ulteriore elemento di complessificazione del settore è rappresentato dagli artigiani edili: una miriade di ditte in nome personale, rappresentate dal solo titolare che lavora come artigiano insieme a dipendenti di altre ditte in uno stesso cantiere o che esegue in proprio, in subappalto, lavori acquisiti da altre imprese più grosse. Questo è predominante nel settore del restauro e del recupero abitativo urbano, che rappresenta oggi il lavoro prevalente dell’edilizia nelle città.
Tali ditte a volte hanno alcuni dipendenti e apprendisti o giovani assunti con contratti (fasulli) di formazione – lavoro; ma questo è un settore totalmente polverizzato e privo di tutela sindacale, anzi rappresenta uno dei campi che oggi sfidano la sopravvivenza sindacale del settore, nel senso che o le organizzazioni riescono, tramite contratti, accordi interconfederali e nuovi enti bilaterali a governare questo ambito, oppure esso diverrà sempre più variabile impazzita determinando scompensi che si ripercuoteranno dannosamente su tutto il restante settore edile.
A dimostrazione di ciò basta osservare quanto è già avvenuto per le Casse Edili Artigiane e quanto potrebbe ulteriormente succedere. C’è infatti polemica tra le Associazioni artigiane e quelle industriali circa le rappresentanze nei Consigli di amministrazione delle Casse Edili e ciò ha portato alla richiesta, in alcune regioni già attuatasi, della costituzione delle Casse Edili Artigiane, cosa che pone fin d’ora complessi problemi di omogeneità e reciprocità di trattamenti e diritti per le maestranze che passano da un ambito all’altro del settore, anche all’interno di una stessa provincia.
Il governo del settore artigiano è reso ancora più difficile dalla mancanza di appropriati strumenti di legge.
È noto che la legge 300 è inapplicabile nelle aziende fino a 15 dipendenti, né il sindacato ha una forza tale da imporsi alle aziende minori e neppure una contrattazione nazionale riesce spesso a sancire nuovi diritti sindacali se manca il supporto di legge. Questo apre il problema di un profondo ripensamento della stessa legge 300 e comunque pone la questione dello statuto giuridico dei lavoratori delle piccole aziende, cosa di non poco conto nell’Italia industriale ristrutturata ove proprio questo fenomeno del decentramento, del subappalto, della polverizzazione e dell’imprenditorialità diffusa hanno costituito elementi centrali.
Concludendo, la mia esperienza di operatore sindacale in questo settore e in una città come Firenze che vede presenti contemporaneamente e in misura intensa tutti questi soggetti, mi ha introdotto a una più precisa conoscenza del settore edile e mi fa pensare a diversi anni di progressive modifiche senza tuttavia che i lavoratori edili possano godere di solidarietà di altri settori: è una battaglia allo stesso tempo di difesa e di ristrutturazione che solo un’attenta e intelligente regia potrà condurre evitando l’isolamento, che resta a mio parere uno dei pericoli attuali e che segnerebbe la perdita di forze dal settore industriale e una occasione perduta di modernizzazione, peraltro indifferibile, di questo settore, in direzione però dell’equità, dello sviluppo di maggiori professionalità, di più alti regimi salariali e di maggiore stabilità del lavoro all’interno del settore stesso.