Ricordiamo Gino Piccio / 3


 

La rivista Tempi di Fraternità di Torino mi ha concesso di farvi pubblicare l’articolo su don Gino Piccio. E’ di 13 anni fa, ma dal momento che l’attività di don Gino dall’inizio degli anni ‘70 da itinerante si è fatta stanziale alla Cascina G. di Ottiglio Monferrato, conserva la sua attualità sia sulla persona di don Gino, sia sul suo lavoro.

Nel lontano ‘64, sollecitati da un amico, io ed altri quattro ci siamo recati da Alessandria a Casale Monferrato per conoscere un prete, don Gino Piccio, ed il suo gruppo che si riunivano allora nella sacrestia della parrocchia di S. Stefano. Ci erano stati descritti come particolarmente vivi ed attivi. La curiosità di incontrarli, tipica del tempo e nostra, era tanta.
Il gruppo quella sera era sparpagliato per le strade che dai diversi versanti convergono verso il Santuario di Crea per affiggere i manifesti di una marcia della fede e della pace che si sarebbe svolta nei giorni successivi. Ci siamo trovati solo a tarda sera nella famosa sacrestia e l’incontro di allora, particolarmente significativo, è stato l’inizio di una frequentazione che dura tuttora. Alla marcia dei giorni seguenti avrebbero partecipato, oltre il previsto, centinaia e centinaia di giovani e adulti della zona e di altre regioni.
Quanti ricordano un analogo incontro occasionale, diventato poi rapporto stabile! Domenica 10 settembre 2000 don Gino compiva ottant’anni. Non è cambiato nulla in lui, tranne i capelli e la barba brizzolati che gli danno un aspetto patriarcale e profetico, sempre arzillo, allegro, la personificazione del rapporto con gli altri, attento a tutto. Non c’è stata festa nel senso corrente del termine alla Cascina G. di Ottiglio, dove oggi risiede, ma alla Messa del tardo pomeriggio, celebrata nell’ampio cortile, come usa nella stagione estiva, c’erano più di cento persone, accorse per il solo passaparola. Tutto si è svolto come sempre, ma è il sempre che è diverso alla Cascina. Durante la liturgia, un gruppo di bambinetti giocava sul fondo del cortile, gestito da qualcuno più grandicello. E’ la terza generazione di amici che trova, alla pari degli adulti, un luogo di serenità impegnata. Dopo la liturgia, come ogni domenica, tutti hanno consumato all’aperto il cibo che ognuno aveva portato.
Che cosa è successo durante i quarant’anni di vita di questi amici? Don Gino lascia già alla metà degli anni ‘60 la parrocchia per la scelta della fabbrica, come prete operaio, e va ad abitare in una casa popolare di via Rosselli, dove si sposta anche il gruppo. Il Vaticano Il aveva riaperto la possibilità per i preti di accedere al lavoro ed aveva esortato la Chiesa ad essere povera e per i poveri. Dopo sei anni di fabbrica intraprende, di sua iniziativa, un giro a piedi, senza nulla portare con sé, per visitare tutti i preti delle parrocchie della diocesi e interrogarsi con loro sulla possibilità di una presenza nuova tra la gente, spinto, ancor prima che dal Concilio, dal detto evangelico: “Gesù mandò i dodici in missione dopo aver dato loro queste istruzioni… Come avete ricevuto gratuitamente, così date gratuitamente. Non procuratevi monete d’oro o d’argento o di rame da portare con voi. Non prendete borse per viaggio, né un vestito di ricambio, né sandali, né bastone…” (Matteo 10, 5-10; Marco 6,7-13; Luca 9, 1-6).
Don Gino propone di regalare ogni bene ai poveri, di non prendere soldi per le attività sacerdotali ed infine di andare a lavorare insieme con la gente. I parroci e il vescovo sono interessati ma perplessi nel mettere in pratica le proposte radicali di questo “prete viandante”, benché non ne impediscano il cammino. Alcuni lo considerano matto, come capita spesso a chi vuole realizzare il Vangelo in modo pieno. Altri lo ospitano per tentare l’esperienza nuova, ottenendo qualche frutto. Egli ritorna saltuariamente in via Rosselli per stare coi giovani. Il gruppo continua a riunirsi. Le aggregazioni di giovani e adulti, attorno ai primi, si moltiplicano ed agiscono sia parallelamente sia secondo la propria specificità. Discussioni, incontri, campi di lavoro, visite al carcere, interventi nei vari settori di vita familiare, scolastico, professionale, sindacale, politico, nel campo della solidarietà e della cooperazione con il Sud del mondo e tante altre iniziative non cessano di impegnarli.
Questo avviene oggi come allora. La condivisione dei beni accomuna tuttora il primo nucleo storico. Una vasta cerchia di simpatizzanti si affianca ed è legata in modo molto profondo. Nel ‘72 don Gino ed il gruppo conoscono Freire, educatore brasiliano, dapprima attraverso la lettura del suo testo ‘La pedagogia degli oppressi’ e poi in diversi contatti personali: tre incontri in Svizzera, due ad Assisi ed uno a Milano insieme con Danilo Dolci.
L’incontro con Freire segna una svolta, in quanto dà un senso ed una metodologia di lavoro precisa e feconda per le tante attività. Al primo incontro Freire, dopo aver ascoltato le molte iniziative, chiede cosa loro stessi avessero imparato dalla gente, prendendoli in contropiede. Peraltro chiede di tenerlo informato sugli interventi nella città, dove lui aveva poca esperienza. Il lavoro di Freire in Brasile partiva dal presupposto che non ci può essere alfabetizzazione senza coscientizzazione e liberazione del popolo e don Gino ed il gruppo applicano tali principi per gli interventi nelle proprie zone, che hanno bisogno di risveglio pari, se non superiore, a quello delle terre del Sud del mondo.
Il “viandante” compirà negli anni successivi altri due giri completi presso il clero della diocesi con proposte ispirate alla pedagogia di Freire, a volte ottenendo rispondenza positiva e a volte la solita perplessità. Con alcuni giovani nel ‘76 va, volontario, per due anni, nel Friuli e alla fine del 1980, per tre anni, a Ricigliano, provincia di Salerno, colpiti dal terremoto. Accanto al lavoro di ricostruzione, svolge attività di socializzazione e di sensibilizzazione con gli abitanti del posto. Già dall’inizio degli anni ‘70 don Gino ed il gruppo trovano un luogo di riferimento più stabile in una cascina presso Ottiglio, che il proprietario propone loro. E l’attuale Cascina G.
Accanto agli interventi esterni di sempre, si dà vita a giornate e settimane di lavoro e di riflessione durante l’anno, ma soprattutto nella stagione estiva, ispirate sempre alla pedagogia del maestro Freire, per formare persone che a loro volta porteranno la stessa sensibilizzazione nei propri ambienti. In Cascina inoltre l’accoglienza è prassi abituale e c’è un appuntamento fisso la domenica, quando nel tardo pomeriggio don Gino celebra la Messa, frequentata dagli amici che salgono per ri-incontrarsi e ricaricarsi. Non è rara la presenza, accanto ai credenti, di chi è alla ricerca del senso della vita o di non credenti: non c’è alcuna forma, benché minima, di discriminazione.
Ho raccolto qualche elemento dagli stessi interessati per capire meglio il lavoro ispirato a Freire. Quello che riporto è il primo modello di intervento nei paesi, adattato con le dovute mutazioni per le circostanze diverse e successivamente articolato e approfondito. Una decina di tesi di laurea sono state redatte sull’applicazione della pedagogia dell’educatore brasiliano da parte di don Gino e del gruppo.
La proposta può essere sintetizzata in tre punti:
1. la presa di coscienza
2. l’assunzione di responsabilità
3. la liberazione.
Le fasi operative sono le seguenti:
• una ricerca per individuare con la gente le realtà che essa sta vivendo; per conoscere le aspirazioni, i motivi e gli obiettivi che la stessa porta con sé; per scoprire insieme famiglia, lavoro, assistenza, scuola, tempo libero, fede e religione, problemi particolari. La ricerca è fatta interessando tutti a questi temi, visitando le famiglie, osservando i momenti più importanti della vita del paese, annotando tutto. Un gruppo di persone del posto dà alla ricerca un contributo utile e insostituibile.
• la codificazione dei dati per far emergere i miti, i pregiudizi e le contraddizioni.
• restituzione e codificazione: è opportuno capire se tutti recepiscono e in quale modo i problemi e le contraddizioni, fornire a tutti la capacità di esprimersi, rendersi tutti coscienti delle realtà della vita. La restituzione si fa parlando nel modo più pratico e più opportuno con piccoli gruppi di famiglie, giovani, amici, categorie di persone.
• assemblea generale: si invita la popolazione, si propone il problema ritenuto da tutti il più importante e pressante, si invitano esperti ad approfondirlo e chiarirlo, ci si richiama alla responsabilità diretta di ciascuno, si propongono e si scelgono concretamente le strade e i mezzi più adatti per affrontarlo.
• l’atto di liberazione: quelli che si uniscono per agire per il bene di tutti compiono opera di liberazione per sé e per gli altri; si liberano dalle paure, dai pregiudizi, dai miti e dalle contraddizioni; si liberano per il bene comune.
La coscientizzazione, la responsabilizzazione e la liberazione di una persona o di un gruppo non avvengono con delle belle e buone parole, ma con i fatti.
All’ingresso della Cascina G. è scritto a caratteri cubitali: “Libera un uomo, libererai te stesso”. E’ il ribaltamento del tradizionale autocentrismo della cultura occidentale e dei vecchi principi di salvezza: solo se hai attenzione all’altro ritroverai te stesso. E’ una prospettiva per il futuro, che richiederà tempi lunghi, non certo facile, ma di grande speranza.

MARIO ARNOLDI

Per gentile concessione della rivista “Tempi di Fraternità”
via Garibaldi 13, 10122 Torino, presso Centro Studi “Sereno Regis”
http://www.tempidifraternita.it


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