A PROPOSITO DEL 1° SEMINARIO NAZIONALE DEI “PRETI OPERAI” IN ITALIA
Il seminario, di cui al titolo, è solo l’ultima tappa di decennali convegni organizzati autonomamente dai PO nel corso degli anni. Questa volta ha avuto l’ufficialità dalla Cei e risonanza a livello nazionale, coinvolgendo tutte le diocesi. C’è stato così il riconoscimento della chiesa italiana per i PO, cosa che non era mai accaduta, anzi. Il card. Zuppi, che ha presieduto il seminario, ha riconosciuto che finalmente la chiesa italiana si è accorta che la testimonianza di PO è stata importante e lo può essere ancora.
Detto questo mi permetto di avanzare alcune riflessioni.
1. A mio avviso, chi partecipa al gruppo dei PO deve evitare due eccessi: da un lato di sentirsi un eroe perché è stato profetico per le sue scelte. Dall’altro di sentirsi una vittima perché l’Istituzione non lo ha riconosciuto. I PO hanno solo fatto quello che si sentivano di fare e che la preghiera aveva loro indicato come modalità per essere discepoli.
2. Quali motivazioni hanno spinto alcuni preti a entrare nel mondo del lavoro?
Riassumo: l’aver scoperto la necessità di condividere la vita dei poveri e sfruttati nel lavoro da una società capitalista; la volontà di essere solidali con loro; la voglia di presentare a questo mondo operaio una certa chiesa non lontana dai loro problemi; forse altre motivazioni, fra cui anche riportare alla vita di fede e spiegare il vangelo agli operai. Alcuni hanno affermato di essere andati per “convertire” e sono stati “convertiti”.
3. Oggi la realtà sociale degli sfruttati è molto mutata: alla classe sociale degli operai si possono sommare i precari, gli immigrati, le donne sfruttate nel lavoro, gli emarginati per età, condizione sociale, diversità culturale, orientamento sessuale, handicap di tutti i tipi, gli impossibilitati nell’accesso alla cultura. Chiamarli preti operai è restrittivo, non li racconta tutti. Sarebbe più corretto chiamarli preti al lavoro. E infatti al gruppo specifico degli operai si sono associati molti preti che operai non erano, ma insegnanti, contadini, piccoli artigiani, infermieri, ecc. a testimoniare che il lavoro è la condizione di ogni uomo e che la scelta di fare il prete non è una professione.
4. Io stesso, che sono stato ordinato nel 1970, appena entrato in parrocchia, ho scoperto un mondo che dal seminario non avevo mai visto e ho capito quanto fosse strana la mia posizione. Ho fatto in quegli anni delle scelte religiose e politiche che mi vennero contestate dall’autorità e ho capito che potevo essere ricattato economicamente. Perciò mi sono laureato, ho trovato lavoro come insegnante di letteratura nelle scuole e mi sono
reso indipendente economicamente e libero di scegliere le battaglie sociali che la mia categoria combatteva per una scuola diversa. Ho continuato a essere parroco, ma a titolo gratuito, mantenuto dal mio lavoro e pienamente inserito nella vita sociale.
5. Oggi la profezia dei PO dovrebbe arricchirsi di altre scelte in conseguenza delle mutate condizioni della società:
- liberare la chiesa dal clericalismo che considera il prete capo della parrocchia, che esercita un ministero superiore e diverso da quello di tutti
gli altri credenti - impegnarsi per cambiare radicalmente la formazione dei preti, abolendo i seminari così come oggi sono organizzati
- chiarire che la scelta di molte diocesi, costrette dallo scarso numero di preti ad accorpare la guida di più parrocchie a un solo parroco, è alla lunga fallimentare. Essa rischia di far nascere dei burocrati, dirigenti lontani dalla gente. Il prete deve nascere dal basso e non dalla scelta del vescovo; è la comunità che conosce quali sono le sue esigenze e di quali ministeri ha bisogno e deve essere coinvolta nella designazione dei ministeri di cui ha bisogno
- far capire che il prete non è il capo-parrocchia, da cui tutto dipende. Lui esercita uno dei ministeri che le sono necessari e che non ci sono compiti più importanti di altri
- formare persone, uomini e donne, che siano capaci di relazioni costruttive. Il ministero del presbiterato deve esser visto come punto di coordinamento di tutti i ministeri della parrocchia; perciò chi lo esercita deve avere conoscenza teologica e biblica, ma anche doti di maturità umana e qualità di vita evangelica
- la persona scelta per questo ministero abbia un’indipendenza economica e si ponga fine allo stipendio per i preti con il finanziamento dello stato
- aiutare le parrocchie a capire che molti fra i servizi che oggi svolgono per la società nel campo dello sport, del tempo libero, dell’educazione,
dell’assistenza sociale devono essere organizzati autonomamente dalle amministrazioni, con scelte politiche. E’ già avvenuto nel passato per scuole e ospedali.
6. Quindi la nuova profezia dei P.O. si arricchisce:
a. con l’essere presenti nella parrocchia in forma diversa
b. con il dare spazio a ministeri nuovi, anche in campi mai sondati
c. con l’attivare una presenza liturgica che attivi la creatività dei partecipanti e tenga presenti le esigenze della comunità che la celebra: la liturgia non è leggere il messale!
d. con il dare spazio a preti sposati che assumano ministeri riconosciuti
e. con il mettere in crisi vescovi con propensione verticistica e autoritaria
f. con dare inizio a un ministero sacerdotale nato dal basso, aperto a tutti, uomini e donne con una propria professione, anche a tempo determinato, anche a coppie di sposi.
Solo aprendoci a queste nuove prospettive potrà continuare quella testimonianza profetica che è iniziata alla metà del secolo scorso con le scelte dei PO.
Giancarlo Pianta
giancarlo47@gmail.com
Darfo Boario Terme, 22 giugno 2023