“IL VANGELO NEL TEMPO:
SENSO DI UNA VITA”
Incontro nazionale PO / Viareggio, 28-30 aprile 2000
Interventi
Più gli anni passano e sempre più frequentemente sento il bisogno di ringraziare il Padre eterno di avermi fatto nascere in condizioni di povertà: di aver dovuto spartire con 6 fratelli la stessa camera da letto, gli stessi vestiti e scarpe e giocattoli che ci passavamo (rimessi a nuovo da mamma o papà) man mano si cresceva in età; e soprattutto di aver dovuto subito imparare un mestiere per campare.
Questo mio “originale” impatto con la vita e il mondo mi ha profondamente segnato: tanto che ritorno con serenità, nei ricordi e confronti, a queste mie origini, non per provare emozioni nostalgiche, ma per riconfermarmi nella fedeltà che devo a questa mia incarnazione.
Una fedeltà che è sostenuta dall’aver scoperto che vivere in condizioni di povertà ti offre la possibilità di gustare maggiormente la vita in tutti i sapori che essa ti propone. Una fedeltà che ti mantiene libero dentro: nel cuore, libero dal desiderio di possedere, di prevalere. Una libertà che ti fa gustare la solidarietà, ti fa essere spontaneamente riconoscente verso chi si prende cura di te, che rende normale il condividere con gli altri ciò che hai e ciò che sei senza la paura di doverci rimettere.
Il 20 settembre u.s. ho ricordato con alcuni amici i miei 26 anni di fabbrica: sempre gli stessi capannoni, sempre lo stesso percorso ogni mattina, lo stesso lavoro, lo stesso orario.
La catena di montaggio con i suoi ritmi ripetitivi, il lavoro manuale, la fatica fisica, le lotte sindacali: in una parola, la fabbrica ha di nuovo segnato profondamente la mia vita.
La fabbrica è stata, ed è attualmente, l’ambiente nel quale trascorro una larga fetta della mia giornata (oggi, in cooperativa, dalle 9 alle 10 ore al giorno!).
È il luogo dove ho incontrato, e incontro, tante persone, tante storie di vita; dove ho imparato a guadagnarmi un salario dignitoso con le mie mani, a lottare per gli altri, a solidarizzare, a gioire per alcune conquiste e ad arrabbiarmi per le tante ingiustizie che permangono.
Lo star “sotto coperta” con i rematori non è per me una condanna ma una “fortuna” perché mi ha offerto la possibilità di “guardare dal basso” il mondo dei potenti, della politica, della economia, di chi sta sopra coperta: e dal basso vedi le loro “vergogne” e non ti viene minimamente la voglia di imitarli, di metterti al loro posto. Di condannarli sempre, questo sì.
E in questa condizione ci resto: non ho grandi progetti perché ritengo di essere stato chiamato non tanto a risolvere i problemi quanto a condividere la vita con il prossimo.